Hanno Detto
Thuram: «Inter? Un feeling che avevo dentro, il gol al derby, San Siro, Lautaro…»
L’attaccante dell’Inter, Marcus Thuram, ripercorre i suoi primi mesi in nerazzurro tra derby, intesa con Lautaro e molto altro
Protagonista dell’ultima puntata di DAZN Heroes, Marcus Thuram, attaccante dell’Inter, ha raccontato i suoi primi mesi in nerazzurro tra gol nel derby, le emozioni di San Siro, l’intesa con Lautaro e tanto altro.
L’APPRODO ALL’INTER – «Quando sono arrivato non ho pensato all’impatto che potevo avere, ho pensato solo ad inserirmi nella squadra, conoscere i compagni. Arrivavo in una squadra finalista di Champions e che aveva vinto due coppe: volevo solo inserirmi con i compagni, nei movimenti con Lautaro e i compagni. Tatticamente sono davvero migliorato da quando sono qui».
IL GOL NEL DERBY – «Ho visto che Thiaw non mi ha attaccato, mi sono girato e l’ho puntato: mi piace sapere contro chi gioco, se il difensore è veloce o aggressivo. I difensori del Milan non erano tornati, ero uno contro uno: sono rientrato e ho tirato. Quando chiudo gli occhi e penso alla partita penso a quando siamo entrati e alle due coreografie: è stato un momento speciale. Quella settimana fu normale, io non penso molto alle partite in settimane, ma all’allenamento: avevo fatto alcune domande a Mkhitaryan, ma non voleva dirmi troppo perché avrei visto io stesso».
SU SAN SIRO – «Quando ho segnato con la Fiorentina la prima cosa che è arrivata è stato il boato. Senti un rumore incredibile quando giochi a San Siro: volevo entrare in comunione con i tifosi».
LA PARTITA PIÙ BELLA FINORA DI THURAM – «Con la Roma, è stata una partita particolare. Mi sono proprio goduto l’esultanza».
L’ESULTANZA DI DIMARCO – «L’avevo vista quando giocavo al Gladbach, era bella: quando mi ha fatto assist ho voluto farla con lui. Il mitra con Lautaro? Non gli è piaciuta (ride, ndr). Mi ha detto qualcosa dopo ma niente di particolare. Quella col Benfica? In quella settimana ho parlato col figlio di Henry e gli ho promesso quell’esultanza».
LA FINALE DEL MONDIALE – «E’ stata una partita spettacolare da fuori, da dentro non l’ho vissuta così: è la vita, l’importante è imparare. Ci penso spesso, ma non posso cambiare niente: abbiamo perso e vogliamo tornare là».
THURAM SI ISPIRA A BENZEMA? – «Al 100%, è il 9 che mi piace di più. Lui va dappertutto, può dare soluzioni ovunque e io voglio essere quel 9. Mi ha dato tanti consigli, il più importante è rispettare il gioco: se devo passare passo, se devo tirare tiro. Devi sempre dare la risposta giusta».
STO AIUTANDO ANCHE LAUTARO? – «Non so, non ha bisogno di qualcuno per fare gol. Quando sono arrivato il primo che mi ha scritto è stato Dimarco, mi ha dato il benvenuto e mi ha detto che mi aspettava da due anni».
PERCHÉ L’INTER? – «Era un feeling che avevo dentro. Due anni prima mi ero fatto male e questo mi ha fatto malissimo perché mi ero già immaginato con la maglia nerazzurra e a San Siro: due anni dopo mi era rimasta questa cosa, volevo venire qui. Ormai sono passati due anni: erano gli ultimi giorni di mercato, tutta la settimana avevo parlato con l’Inter, pensavo di andarci dopo quella partita. Non pensai fosse grave subito, continuai a giocare 5 minuti; poi mi fermai perché mi faceva veramente male.
L’Inter mi è stata sempre vicina, sono persone molto rispettose: per me è stata una scelta ovvio anche dopo due anni. L’anno scorso è stato il primo anno in cui ho fatto il 9, Ausilio mi ha visto 9 due anni prima: mi conosce molto bene e mi ha aiutato a scegliere. Il mio percorso mi ha aiutato ad essere il 9 di oggi: non rimango fermo, gioco coi compagni e faccio tante cose».
IL RAPPORTO CON MIO PADRE – «Nel ’98 quando vinse il Mondiale non avevo ancora un anno: fu una cosa incredibile per lui. Io non capivo ancora, scoprii a 10 anni quando era mio padre: per me era una cosa banale, io vedevo mio papà e non sapevo cosa avesse fatto in campo. Non voleva diventassi calciatore: quando vide che mi piaceva molto mi iscrisse a scuola calcio. A me non piaceva difendere ma avere la palla nei piedi e fare gol: i difensori non rendono la gente contenta, impediscono i gol.
Papà e mamma mi hanno sempre insegnato che il rispetto è la chiave di tutto e che tutto passa dal lavoro. Se non lavori non avrai successo. Mio padre mi aiuta sempre dopo le partite: le guardo con lui, mi fa imparare velocemente. E’ molto severo, ma è meglio così: ogni volta che faccio gol e mi vede col sorriso mi dice “calmati, vieni in macchina che ti spiego due o tre cose…”. Mi calma sempre».
SU HENRY – «Con lui mi confronto ogni giorno, di più di papà: ogni giorno sto al telefono con lui, può darmi dei feeling che papà non può darmi».