Hanno Detto
Ranocchia svela: «Nel 2014 fui vicino alla Juve, mi ricordo quel derby perso. Su Inzaghi, Zhang e l’Inter di oggi…»
L’ex difensore dell’Inter, Andrea Ranocchia, ha ripercorso alcuni momenti della propria carriera, soffermandosi sull’attualità
Intervistato da Sitiscommesse.com, Andrea Ranocchia svela alcuni aneddoti legati alla sua lunga carriera all’Inter, esprimendosi poi sulla stretta attualità e sui protagonisti dello scudetto dei nerazzurri.
LO SCUDETTO NEL DERBY E IL SAPORE DI QUESTA SECONDA STELLA – «L’importante era vincerlo. La verità è che ancora ho tantissimi rapporti con tanti di loro. Ho passato tanti anni lì e oltre ai giocatori, ho tanti amici, anche nello staff, nei vari componenti che poi ruotano intorno alla squadra quindi sono contentissimo e so quanto ci tenevano. Naturalmente vincerlo nel derby ha un sapore ancora più importante. Quindi diciamo che l’importante era vincere, però vincere nel derby è ancora più speciale».
UN DERBY CHE MI RICORDO PARTICOLARMENTE? – «Ti dico la verità, il mio ricordo di un derby è quello che abbiamo perso nel 2011. Ero appena arrivato all’Inter, avevamo fatto una grande rimonta da gennaio a maggio e speravamo di vincere anche il campionato. Abbiamo avuto lo scontro diretto con il Milan che eravamo due punti sotto e l’abbiamo perso. Purtroppo, quello è un ricordo di un derby terribile, però era anche il mio primo derby, quindi sicuramente il sapore, l’atmosfera pre-partita è stata veramente emozionante. Poi purtroppo è finita male, ma nel calcio funziona così, non può andar sempre tutto bene».
SE MI ASPETTAVO CHE L’INTER POTESSE FARE QUESTO CAMMINO? – «Io l’ho sempre detto perché comunque, secondo me, negli ultimi anni l’Inter ha sempre avuto la squadra più forte. Poi insomma, quando inizia la stagione non sai mai le squadre come reagiranno a una stagione lunga perché c’è la Juve, c’è il Napoli, c’è il Milan… Però la rosa dell’Inter per me è ineguagliabile in Italia perché ha una rosa molto lunga, giocatori molto forti e ogni tanto anche con Simone Inzaghi, quando ci si trova coi ragazzi, ci si scherza tanto. Gli dico sempre che è difficile fare la formazione, sceglierne undici tra questi, col doppio di giocatori che hai a disposizione è veramente complicato perché la rosa è forte».
SUL CAMMINO IN CHAMPIONS – «La Champions è un discorso a parte, perché il campionato si gioca su tante partite, quindi hai sempre modo di riprendere o magari fai 1 o 2 passi falsi però comunque le partite sono tante e poche squadre riescono a reggerne così tante vincendone tante. In Champions è dentro fuori soprattutto quando passi il girone… è sempre deciso dagli episodi, dallo stato di forma e l’Inter per me, purtroppo, non l’ha persa al ritorno perché comunque al ritorno l’Atletico ha fatto una grandissima partita, non si può che dire bravi agli avversari quando se lo meritano e quando fanno delle belle partite, ma tanto all’andata. All’andata ha creato tanto, ma non ha concretizzato le occasioni. Ma lì sono episodi perché comunque all’andata l’Inter ha fatto una grande partita, ha creato tantissimo ma gli è mancato l’ultimo passo perché se fossero riusciti ad arrivare a Madrid con un punteggio diverso sicuramente sarebbero passati. Però, ripeto, in Champions sono 180 minuti, magari ci sono i supplementari, rigori… Ma c’è poco tempo e non devi sbagliare niente. Poi sicuramente è dispiaciuto a tutti. C’è rammarico perché una squadra come l’Inter è costruita comunque per vincere. Quando non si raggiunge l’obiettivo c’è del rammarico. Sulle due partite devo dire che l’andata è quella dove devono avere più rammarico i ragazzi».
COSA PERDEREBBE L’INTER CON L’ADDIO DI MAROTTA? – «Per me quelli della dirigenza negli ultimi anni sono stati dei fenomeni a livello mondiale. Io non credo che altri dirigenti siano riusciti a fare il lavoro che hanno fatto loro visto il pochissimo budget, cioè quasi zero. Sappiamo tutti dei vari problemi della società, ma c’è Beppe Marotta, c’è Ausilio e c’è Dario Baccin, sono in tre che gestiscono tutta l’area direzionale della società e hanno fatto per me un lavoro incredibile, posso dire che sono dei top player in quell’ambito perché con poco budget, trovare sempre ogni anno, dei giocatori di altissimo livello anche a parametro zero, come è successo negli ultimi anni, è difficilissimo. Loro sono stati bravi anche a ricambiare giocatori. Passi da Onana, che l’anno scorso era una certezza, e vai prendere Sommer, che è un giocatore di alto livello, però non lo sai e invece ha fatto molto meglio. Thuram, un giocatore che lo prendi a zero e per me è una rivelazione perché non mi aspettavo riuscisse a incidere così tanto nel primo anno all’Inter. Quando succedono queste cose, vuol dire che la proprietà sia a livello gestionale e non, è stata veramente bravissima».
SU ZHANG – «Personalmente sono contento perché ho lavorato tanti anni per Steven, so la passione che mette in questa squadra e in questa società. Bisogna ricordarsi che Steven quando ha preso l’Inter era una squadra in difficoltà e in pochi anni è riuscito a riportarla ai vertici del calcio europeo e mondiale e ha fatto un lavoro strepitoso. Purtroppo ha avuto dei problemi che non si sa a cosa sono dovuti però io personalmente sono contento e spero che possa continuare per tanti anni. Anche quando parlo con i ragazzi, con i dirigenti sono tutti contenti della proprietà perché è una proprietà che guarda al futuro, è una proprietà che, seppur lontana, fa sempre sentire la sua presenza e soprattutto è un proprietà che ascolta i consigli che vengono dati dai dirigenti, ascolta anche le necessità dei giocatori e di tutti quelli che ruotano intorno. Poi se un giorno Zhang non dovesse più riuscire a tenere l’Inter o per esigenze o perché magari ha altri interessi, l’importante è che essendo l’Inter una società centenaria, qualsiasi nuova proprietà potrebbe arrivare deve tener conto di questi fattori, perché è vero che ormai è una multinazionale però i valori che incarna l’Inter di passione e di tanti anni di storia non vanno sottovalutati».
UN CALCIATORE CHE MI HA SORPRESO – «Sì, ti do due nomi. Thuram sicuramente. Io ci ho giocato contro qualche anno fa ma lui giocava esterno, era bravo, vedevo che c’era qualità però non in un altro ruolo. Invece quest’anno mi ha veramente stupito perché è un giocatore che si è adattato subito al calcio italiano che non è facile per niente. E poi perché è un giocatore che, da difensore, posso dirti che è difficile da marcare perché può andare in profondità, ti può venire incontro, riesce a capire sempre quando deve tenere il pallone, quando deve prendere fallo, quando deve giocare di prima… quindi è uno dei giocatori che mi ha stupito, oltre a Sommer. Sommer era un altro che non credevo potesse incidere così tanto, invece ha personalità. Seppur l’Inter è una squadra che subisce poco e che ha subito poco a livello difensivo in tutto il campionato, però quando c’era il momento in cui doveva parare ha sempre parato. Questi sono i due giocatori che mi hanno impressionato e stupito di più».
SUI MIEI COMPAGNI QUANDO SONO ARRIVATO ALL’INTER – «Quando sono arrivato non ci capivo niente. Sono stato trasportato dal Genoa che comunque era una squadra di Serie A però di livello più basso, a una squadra che sei mesi prima aveva alzato tutto quello che poteva alzare a livello di trofei. Quindi mi son ritrovato nello stesso spogliatoio con quei campioni che magari ammiravo qualche mese prima in TV. Lo stupore più grande è che sono stati tutti bravissimi con me, mi hanno accolto benissimo. Non c’è stato un giocatore che mi abbia messo in difficoltà. Ti dico Stankovic, Materazzi, Chivu, Thiago Motta sono questi giocatori che mi hanno aiutato un po’ a capire che cosa era l’Inter, che cosa voleva dire giocare l’Inter. E loro sono stati quelli che mi sono stati più vicino. Poi c’era Samuel, c’era Pupi, c’era Cambiasso, Maicon veramente sono stati tutti tutti bravi con me».
I PIÙ FORTI CON CUI HO GIOCATO – «Il mio più grande idolo che è Nesta. Ci ho giocato contro e lui sicuramente è quello che ho sentito di più a livello di emozioni. Quando ti trovi a giocare contro il tuo idolo, che ci sei cresciuto da bambino è tutto strano, non ti sembra vero. Quindi dico lui in primis. E poi Zanetti, fa impressione perché è un totem del calcio. Poi ci sono Totti, Maldini, Del Piero, Baggio… Quando sei dentro sembrano tutte cose un po’ normali, però se lo vedi da fuori dici ‘ma sto giocando con Zanetti? Non è vero!’. Un altro che mi ha impressionato tantissimo è Milito, soprattutto quell’anno lì era inarrestabile. Contro, invece, Ibrahimovic è un altro giocatore che fa paura per le sue qualità, oltre che per la stazza fisica e per tutto il giocatore che è. Un altro è Samuel, sia per persona che per qualità da difensore, è uno dei più forti difensori con cui ho avuto il piacere di giocare. In Nazionale, ho avuto la fortuna di giocare con Buffon che è un altro totem, un altro giocatore incredibile, Pirlo… Fortunatamente ha giocato con tanti!».
UN GIOCATORE CHE PORTEREI ALL’INTER OGGI – «Vinicius. Io mi immagino sempre, da difensore, come avrei potuto affrontare un giocatore così… Non ci dormi, tre quattro giorni prima non riesci a dormirci. È un giocatore che è troppo veloce. Ha tecnica in velocità, che è fuori dal comune e in qualsiasi momento può saltarti e può fare assist, può tirare. Quindi se non avessi budget, per l’Inter prenderei subito Vinicius».
ALLENATORE IMPORTANTE ALL’80% – «Sì, poi dopo questa dichiarazione è venuto fuori un casino, perché mi hanno scritto tutti: ‘Allora se Guardiola va alla Salernitana vince il campionato?’. In verità non è così. Io non penso che anche il migliore allenatore al mondo messo in una squadra che comunque non ha qualità, non è che vince la Champions League. Quello che dico io, per la mia esperienza, è che l’allenatore nel calcio moderno – e io parlo di calcio moderno non di calcio degli anni ‘90 che era totalmente un altro calcio – ora le partite, gli allenamenti si preparano al dettaglio, cioè tu, oggi, cosa che non succedeva neanche dieci anni fa, ti filmi l’allenamento e poi il giorno dopo, prima dell’allenamento successivo, te lo riguardi, te lo fanno rivedere, ti analizzano. Una volta non era così, non c’era tutta questa tecnologia. Adesso ci sono tutti i dati dei GPS, i dati del cardio, riesci a vedere qualsiasi tipo di giocatore online per studiarlo. L’allenatore moderno, un allenatore di alto livello, sicuramente incide tantissimo. Ad oggi, l’allenatore è il capitano, è il capo, è quello che deve essere psicologo, deve essere tecnico, deve essere tattico, deve gestire 25 personalità più tutti quelli che ruotano intorno. E un allenatore di alto livello deve essere bravo in tutte queste cose.
Qui poi c’è chi è un fenomeno in tutte queste cose qui e non sono quelli che poi vincono per caso, come Guardiola, Klopp, adesso anche Xabi Alonso che ha fatto vedere una cosa incredibile quest’anno con una squadra di un buon livello ma non con i nomi del Dortmund o che ha il Bayern Monaco. Io dico che un allenatore forte riesce a far rendere una squadra molto di più rispetto a quello che poteva essere tanti anni fa che il giocatore di alto livello era quello che faceva la fortuna dell’allenatore. Adesso secondo me è il contrario, l’allenatore deve avere tanta qualità per poi dare indicazioni giuste per preparare il giocatore, preparare la partita, per preparare anche una eventuale vittoria o sconfitta perché poi anche quello incide nel cammino di un campionato. Deve essere un po’ un allenatore a tutto tondo rispetto a com’era tanti anni fa: diceva 4-4-2, andate sul fondo, mettete il cross. Questo facevano gli allenatori di 15 anni fa, quando ho iniziato a giocare io. Dopo c’è stata un’evoluzione, quindi dico che l’allenatore incide tanto, poi se l’80-70%, non è neanche giusto fare una percentuale però incide tanto. Per questo non dico che se Guardiola va alla Salernitana vince il campionato, però sicuramente se Guardiola va alla Salernitana, tutti i giocatori della Salernitana migliorano e rendono molto di più, questo sicuro».
SU INZAGHI – «Inzaghi è stato intelligentissimo a capire il livello della squadra, perché la squadra è una squadra forte e lui ha capito come doveva gestire i giocatori. Poi è un allenatore che, insieme al suo staff, prepara bene le partite, dà indicazioni che cambiano anche a seconda dell’avversario che incontra. Io mi ricordo quando giocavo per lui, che ogni partita la preparavamo tatticamente in maniera diversa a seconda dell’avversario, cosa che magari tanti allenatori non fanno. Lui ha capito l’importanza di avere questi giocatori, è molto bravo a gestirli, nel senso che è un allenatore con cui si riesce ad entrare in confidenza, è empatico verso il giocatore. Quindi magari il giorno in cui il giocatore non sta bene o ha un problemino, lui capisce come può gestirlo, non con le bastonate ma mettendosi nei panni del giocatore, aiutandolo in quel momento lì. L’empatia è la sua più grande qualità, per questo ha un rapporto con i giocatori molto forte e lo si vede. Lo si è visto anche nei vari festeggiamenti, nei vari meme che vengono fuori in internet… Insomma è sempre apprezzato dai giocatori e questo è importante».
UN ALLENATORE CON CUI MI PIACEREBBE LAVORARE? – «Ti dico 3 allenatori. Uno è scontato ed è Guardiola. Sarebbe stata una bellissima esperienza. Ogni tanto su internet esce qualche video della sua vita di spogliatoio, come dà indicazioni… e sicuramente sarebbe stata una bella esperienza. Poi dico De Zerbi. De Zerbi che tra l’altro, anni fa, al mio procuratore avevo chiesto se c’era possibilità di andare al Sassuolo quando lui era al Sassuolo, perché ha idee di calcio che a me piacciono: questo grande palleggio, grande possesso… e a me sarebbe piaciuto vedere o provare le sue metodologie. Ad oggi, ti dico anche Xabi Alonso perché ha fatto un campionato incredibile. È nuovo nel panorama mondiale degli allenatori però, nei prossimi anni, credo riuscirà a fare una grande carriera».
SUL PARAGONE TRA ME E MATERAZZI – «No, secondo me non è corretto per niente. Per me, mi mettono al paragone con lui solo per il fisico, solo per quello. Marco oltre che ha vinto molto molto più di me, ha caratteristiche tanto diverse. Lui è un giocatore molto aggressivo, molto fisico, io invece sono stato un giocatore più pensante, lui era molto più deciso… Secondo me, abbiamo caratteristiche totalmente diverse anche a livello mentale. Io ho sempre avuto come idolo Nesta, seppur anche lui aveva altre caratteristiche rispetto a me. A me piaceva fare le scivolate e lui è un mago delle scivolate, quindi più lui. Però credo che ogni giocatore sia diverso, poi si possono fare dei paragoni, magari chi ha la stessa altezza o lo stesso peso come possiamo averlo io e Marco o altre caratteristiche… Il confronto tra me e Marco secondo me non è giusto, lui è stato un giocatore molto più importante di me nel panorama sia italiano che internazionale, poi ha vinto un mondiale, è difficile far paragoni».
MEGLIO BERLUSCONI E GALLIANI O MORATTI E AUSILIO? – «È difficile. Parliamo di personaggi che hanno fatto la storia del calcio e anche la storia d’Italia in determinate occasioni, quindi è difficile. Dico la verità, ho avuto modo di lavorare con Galliani, con Berlusconi anche in parte, ma purtroppo se n’è andato qualche mese dopo che io sono andato via, ma ho avuto la fortuna di conoscerlo. Nel calcio, io non so se ho conosciuto due persone come Galliani e Berlusconi. Non credo. Il livello è veramente alto, anche a livello umano. Faccio un esempio per essere un po’ più chiaro. Un anno fa, avevo già smesso da sei-sette mesi, ho fatto un’intervista su un giornale e ho parlato bene del dottor Galliani. Era un giornale nazionale però non è che fosse un’intervista da prima pagina. Quando è uscito il giornale, dopo 2 ore, il dottor Galliani mi ha mandato un messaggio: ‘La ringrazio per come si è espresso su di me’. Quando capita che fai un un’intervista normale su un giornale normale, e Galliani che credo abbia 750.000 interessi al giorno, ha cose da curare, trova il tempo di scriverti un messaggio per ringraziarti? Non esiste nel mondo del calcio, non esiste in generale quindi ti fa capire il suo valore umano. Dall’altra parte c’è comunque Marotta, c’è Ausilio, ho avuto la fortuna di conoscere Massimo Moratti che è un’altra famiglia storica. Sono persone di un livello differente, faccio fatica a dirti chi sia meglio, è non è giusto».
SUL MIL RITIRO – «L’infortunio ha inciso al 90% sulla mia decisione. Io ero stanco, anche a livello mentale, non avevo più quell’entusiasmo di qualche anno prima, mi pesava andare al campo a fare allenamento, mi pesavano le trasferte e avevo questi sentori un po’ strani. Che poi è stato anche difficile da capire da parte mia, perché dicevo: io ho fatto questo per tutta la vita, mi son sempre divertito e adesso che sta succedendo? Ti destabilizza anche a livello personale, interno. Poi l’infortunio ha inciso tanto, nel senso che io sapevo che dovevo star fuori tre-quattro mesi, sapevo che comunque ci sarebbe voluto, per l’età che avevo e per il fisico che ho, un mese e mezzo per tornare a essere competitivo e mi sarei trascinato fino a febbraio così, visto che era successo a fine agosto. Quindi lì ho maturato la decisione. Ho chiamato il dottor Galliani, ho detto: ‘Guardi è inutile che la prendo in giro, se lei accetta io rescinderei e la finiamo così’. A malincuore, perché mi è dispiaciuto fare quella chiamata perché lui credeva tanto in me, però comunque a livello societario non avrebbe inciso molto, il mercato era aperto e loro avrebbero dovuto comprare un altro giocatore al posto mio. Infatti hanno comprato Izzo. Io sarei tornato a febbraio, quindi c’era un’altra finestra di mercato e loro potevano mettere mano. Per loro non è stato un danno il fatto che io abbia rescisso, però anche lì, lui (Galliani n.d.r.) si è comportato da signore e abbiamo trovato un accordo. Se non ci fosse stato l’infortunio probabilmente avrei terminato l’anno che avevo, ma non so se avrei continuato. Ero stanco, non avevo energie, la passione si stava spegnendo, forse si era già spenta del tutto e ho preso la palla al balzo».
IO VICINO ALLA JUVE NEL 2014, SE HO MAI PENSATO A COSA SAREBBE POTUTO ACCADERE? – «Negli anni successivi, tante volte me lo sono immaginato perché comunque quegli anni lì all’Inter sono stati veramente difficili, per tutti. Cambi società, cambi allenatore in continuazione, i giocatori che vengono e vanno… Sono stati anni veramente difficili. Io ho fatto esclusivamente una scelta di cuore, senza andar dietro a pensare che avrei potuto vincere cinque, sei scudetti, finali di Champions, Coppa Italia altri trofei, e più soldi, perché la Juventus mi offrì più soldi di quelli che mi avevano offerto l’Inter. C’ho pensato un po’ perché era giusto pensarci e non prendere una decisione in 2 minuti. Però era l’anno in cui Pupi avrebbe smesso, avrei vestito la fascia da capitano all’Inter, e a quanti capita di avere un’opportunità così? A pochissimi, non stanno sul palmo di una mano. E allora mi sono detto voglio rimanere all’Inter, voglio vincere all’Inter. Ho aspettato tanti anni per vincere, però alla fine ce l’ho fatta. Tra l’altro, questa domanda me l’ha fatta un mio amico, a cena, qualche giorno fa. E ti ripeto, non ho nessun tipo di rimorso per la scelta che ho fatto, anzi, essere ricordato ad oggi dai tifosi interisti per come sono ricordato, per come sono accolto, per l’esperienza che ho avuto all’Inter e per il fatto che sono riuscito a vincere anche solo un campionato con l’Inter, per me ha ripagato tutto. Tutti gli anni brutti sono completamente oscurati da queste emozioni».
SUL RAZZISMO NEL CALCIO – «Secondo me no, non sta peggiorando. Un po’ di anni fa era peggio. Anche all’interno di uno stadio si sentivano tanti buu razzisti da parte dei tifosi. Il problema è che non sta migliorando, non sta migliorando così tanto. Purtroppo, il problema è culturale, il problema proviene da fuori del mondo del calcio. Poi diciamo è quello in cui risalta di più perché è lo sport nazionale, è la terza economia del Paese, gira tanto intorno al calcio. Ma il problema è culturale, il problema è che l’ignoranza in giro è tantissima. Queste nuove generazioni sono meno controllabili, le nuove generazioni cioè parlo di ragazzi dai 13-14 anni fino ai 25-28 anni, con l’avvento dei social hanno un buco di valori, di modi.. Sembra tutto troppo facile. Per tornare alla domanda, sicuramente sia la Lega calcio che tutte le società stanno prendendo di petto questa situazione, la FIGC uguale con tutte le iniziative che sta facendo, però non è purtroppo una cosa che vedo ha dei miglioramenti importanti. È migliorata rispetto a qualche anno fa perché c’è molta più prevenzione, parlo di prevenzione perché purtroppo è come una malattia, come un virus che si incunea dentro le persone, però c’è ancora c’è tanta strada da fare. Se a livello calcistico ci sono in un anno 3-4 episodi, come Maignan a Udine, ma anche Vinicius in Spagna, il caso Acerbi-Juan Jesus, per far sì che si migliori il problema, si deve partire dalla parte educativa, deve partire da casa, dalle scuole… Ci si sta lavorando ma c’è tanta strada da fare».
UN MIO RITORNO NEL MONDO DEL CALCIO? – «Non lo so ancora. C’ho pensato e ci sto pensando. Se dovesse essere sicuramente allenatore, non mi vedo sotto un altro ruolo nel mondo del calcio. Però per fare l’allenatore serve tantissima passione, serve tantissimo entusiasmo, serve che comunque ti dedichi di nuovo a una vita particolare. E io, in questo momento, sinceramente non ho né voglia, né passione per farlo. Vediamo magari nei prossimi tempi, io adesso mi sto godendo la famiglia, i vari investimenti che ho fatto in giro, vado a Mediaset ogni tanto a fare il commentatore, il podcast con l’Inter insomma faccio un po’ il freelancer e mi sta bene».