Hanno Detto

Moratti: «Non lo so se sono soddisfatto di quel che sono stato»

Pubblicato

su

Massimo Moratti, ex presidente dell’Inter, ha parlato a tutto tondo della finale di Champions, dei giocatori e dei tifosi

L’ultimo dei romantici. Così Dazn definisce Massimo Moratti, ex presidente dell’Inter, nel suo speciale in tre episodi dal titolo ‘Simpatico‘, nel quale Moratti si racconta a cuore aperto parlando di tantissimi episodi della sua epopea alla guida del club.

ACQUISTO DEL CLUB – «Prima dell’acquisto mi ricordo all’angolo della strada dove abito che stavo parlando con l’avvocato Prisco e mi disse: ‘Se magari provi a vedere se puoi diventare presidente, sarebbe molto interessante per noi”. Io invece di dire di no dissi, “provo a vedere’. Lui insisteva, ma pensavo di dire una cosa così… Tempo una o due settimane invece ero presidente. Sono quelle cose che pensi da ragazzo, come possibilità remotissima. Siccome è una pazzia, se la prendi come decisione deve essere in fretta, ma se la prendi con buon senso non la prendi mai».

RONALDO – «Ronaldo era il numero uno in quel periodo. Ho pensato che ci fosse la possibilità di tentarla. Io ero appena arrivato, da un anno. Credo che gli altri presidenti non pensassero nemmeno che potessi farlo. Gli altri credevano forse che fosse impossibile. Lo avevo conosciuto perché era venuto a trovarmi a Milano con la sua fidanzata quando era al Psv».

MANCINI – «Un bel giorno ricevo a Natale da parte di Mancini una maglia di quelle vecchie, di lana, con uno scudettone grossissimo e un biglietto: ‘Se vengo all’Inter rivinciamo’. Rimasi abbastanza convinto di puntare su Mancini. E’ stato fin da subito un volere da giocatore. Ne abbiamo anche parlato assieme ma poi il presidente della Sampdoria giustamente mi disse che non si permettevano di venderlo. Ma siamo sempre rimasti legati. Era un ragazzo, aveva appena smesso di giocare. Aveva tutta l’emozionalità dei giocatori. Perdemmo con la Lazio e me lo trovai nello spogliatoio che piangeva in un angolo e questo faceva capire che ci teneva tremendamente a far bene. Ho seguito la sua storia all’Inter con affetto, ci tenevo moltissimo avesse successo».

TIFOSI – «Mi sembrava di vivere insieme. Non ho mai visto il tifoso come dall’altra parte del tavolo. L’ho sempre sentito sinceramente come fosse insieme a me».

PAZZA INTER – «Era più che altro l’immagine di quello che è il carattere di questa squadra, che attraverso la fantasia di giocatori speciali riesce a ottenere situazioni impossibili».

MOURINHO – «Il primo incontro con Mourinho fu a Parigi e lì c’è un portiere di questa casa che è portoghese ed è un po’ la capa di tutte le portinerie di quella via. A un certo punto mentre eravamo lì a mangiare formaggio con Mourinho suonò la porta e questa signora entrò facendo finta di chiedere se c’era bisogno di qualcosa e poi vide Mourinho. Disse: “Oh José”, poi ha preso e se n’è andata. Quando una cosa deve essere segreta, il segreto di una portinaia si sa perfettamente…»

SCAMBIO ETO’O -IBRAHIMOVIC – «Nasce da un incontro con Laporta. Parlando delle nostre squadre mi chiede com’era Ibrahimovic e gli dissi che era il più grande che si potesse immaginare. Un giocatore completo, dove andava vinceva il campionato. Mi disse se avrei potuto venderlo e dissi: ‘Non ci penso neanche’. Allora mi fece delle proposte e dissi: ‘Se mi dici quattro volte tanto non so se ti dico di sì’. In ufficio mi arrivò una telefonata di Laporta e mi disse che voleva passare da Milano perché aveva capito che avevo ragione. Nella sorpresa mi dissi che magari mi avrebbe davvero offerto quattro volte tanto. Così è stato. Si è presentato in casa e sul portone mi ha detto: “L’offerta è questa”. Dissi: “Per me va benissimo” e ci siamo stretti la mano».

VITTORIA CHAMPIONS – «Il giorno prima della finale vivevo veramente col terrore. Mi dicevo: ‘Mi sta venendo una colica renale e domani non vedo la partita…’. E allora ero lì che facevo il sacrificio classico. ‘Non vado alla partita, l’importante è vincere’. Poi fortunatamente non mi venne del tutto e alla partita andai. A Madrid quello che era meraviglioso era vedere la risposta dei tifosi, una risposta commossa, non solo di grande felicità ma un pianto generale per la felicità che generavano i giocatori. La prima cosa che pensavi fu naturalmente legata a mio padre e al fatto che il destino avesse voluto che le Coppe dei Campioni fossero legate alla nostra famiglia ed era una cosa altrettanto bella e che mi faceva piacere. La differenza tra l’alba del 6 maggio e quella di Madrid è notevole. C’era la decisione di andare a Milano o stare lì. Mi sembrava antipatico pensare che non essendoci Mourinho andavo io a prendermi tutti gli onori di una vittoria che era da dividere. Io me ne rimasi a Madrid e fu molto rilassante perché era piacevole poter camminare pensando che era andata, era successo qualcosa di bellissimo e te lo stavi godendo per conto tuo, con la famiglia e che il mattino dopo sarebbe stato meraviglioso. Poi la festa continua per qualche giorno».

 

 

Exit mobile version