Hanno Detto
Hakimi: «Con Conte potremo aprire un ciclo che ci porterà a dominare in Italia e in Europa»
Achraf Hakimi si è raccontato in una bella e lunga intervista rilasciata a Sportweek. Queste le parole dell’esterno marocchino
Achraf Hakimi si è raccontato in una bella e lunga intervista rilasciata a Sportweek. Queste le sue parole.
Se chiudi gli occhi, qual è la prima immagine che ti viene in mente e che spiega la vostra vittoria del campionato?
«La vittoria con la Juve a San Siro un mese dopo l’eliminazione in Champions. Ma sono tre i momenti che riassumono la nostra stagione: l’uscita dalle coppe europee, il successo sulla Juve e quello nel derby di ritorno che ci ha permesso di staccare il Milan di quattro punti».
Lì avete capito di avere lo scudetto in mano?
«No, non c’è stata una partita in particolare. Quando siamo rimasti fuori dall’Europa ci siamo detti che non potevamo lasciarci scappare pure il campionato».
Passo indietro: chi o cosa ti hanno convinto a firmare per l’Inter?
«L’ambizione, il progetto del club e le parole di Conte nella nostra prima telefonata. Chiamò per dirmi che mi voleva».
Cosa ti disse?
«Prima mi chiese cosa vedessi e volessi nel mio futuro, poi mi spiegò come avremmo giocato, quale sarebbe stato il mio ruolo nei cinque tra difesa e centrocampo e perché sarebbe stato decisivo nella sua idea di calcio aggressivo. Mi fece sentire importante. Poi, sì, disse pure che avremmo vinto. Parlammo tanto e, visto come è andata, posso dire di aver fatto la scelta giusta. Ma l’ho pensato subito».
La qualità migliore di Conte?
«Lui tira fuori tutto dai giocatori. Mi ha aiutato molto. È stato il primo con cui ho giocato a cinque. Mi ha insegnato a pensare non solo all’attacco ma anche alla difesa, con lui ho imparato un aspetto del gioco che non conoscevo tanto».
È davvero un martello?
«Non so se si può definire un martello (ride), so che gli piace che assimiliamo bene quello che ci dice. Gli piace lavorare sui dettagli. È bueno, questo, perché così per noi giocatori diventa più facile in partita. Non abbiamo sorprese, perché tutte le situazioni che possiamo trovarci di fronte le abbiamo già preparate in allenamento».
Cosa cambia tra il giocare a quattro o a cinque?
«A cinque non è facile: hai tutta la fascia da coprire, quando attacchi e quando difendi. Non hai un compagno che ti appoggia, devi fare un gran lavoro».
Cosa sapevi di lasciare in Germania e in Bundesliga e cosa immaginavi di trovare in Italia in Serie A?
«La Bundesliga è più offensiva, si corre avanti e indietro tra una porta e l’altra. Il calcio italiano è più difensivo, tattico, le squadre sono sempre schierate e compatte. Dovevo capire come poter far male a un avversario che non ti concede spazi ma ti aspetta, e, come dicevo, ho dovuto lavorare sulla parte difensiva del mio gioco. Sono cresciuto tanto».
Quindi oggi ti senti un giocatore più completo?
«Sì, in un anno sono migliorato tanto, mi considero più maturo».
Tra i compagni che conoscevi poco o niente, chi ti ha impressionato di più?
«Per come gioca, per lo spirito che ci mette, mi piace molto Barella. Va sempre avanti, ha passione, cuore. Un altro è Bastoni, per la tranquillità del suo gioco e la qualità nel trattare la palla. Notevole, se si riflette sulla delicatezza del suo ruolo – è un difensore – e su quanto sia giovane».
E, invece, nello spogliatoio, chi è quello che fa ridere di più?
«Sensi. Con lui mi diverto parecchio».
Perché Lukaku è così forte?
Ride: «Eh, non so, è la natura. Ha questa forza, questa potenza… È un punto fermo della nostra squadra».
E perché Lautaro è così forte?
«Perché rende semplici le cose difficili. In campo questo fa la differenza».
Quando mancavano tre giornate alla fine del campionato, avevi messo insieme sette gol e otto assist: è il bottino che ti aspettavi o pensavi di far meglio giunti a questo punto?
«Non speravo di far così bene al mio primo anno in un nuovo tipo di calcio. Pensavo che avrei avuto bisogno di più tempo. E anche gli altri all’inizio credevano che avrei fatto fatica ad adattarmi a un tipo di gioco non così offensivo come quello praticato in Germania. Ora posso di dire di essere contento della stagione che ho fatto, ma mi piacerebbe arrivare a dieci gol e dieci assist».
Adesso che lo hai conosciuto da dentro, perché da undici anni il calcio italiano fa così fatica in Champions?
«Sono periodi, in questo momento i club hanno problemi, i giocatori vanno e vengono, l’importante è decidere di aprire un ciclo, perché in questo modo si mettono le basi per il futuro. È quello che ha fatto l’Inter. Qui c’è un progetto che inizia con l’arrivo di Conte e di giocatori giovani. Se proseguirà, potremo appunto aprire un ciclo che ci porterà a dominare in Italia e in Europa».
A proposito di questo, cosa vi serve per essere protagonisti anche in Champions? Giocatori o mentalità?
«Abbiamo già cambiato mentalità, il campionato vinto ci ha reso più forti di testa».
A “El Chiringuito” in Spagna hai detto che il Real Madrid, dove sei cresciuto, era casa tua. Lo stesso puoi dire oggi dell’Inter?
«Sì, sono molto contento di stare qui, e mia moglie e mio figlio Amin sono felici di vivere a Milano. Non posso sapere cosa succederà in futuro, ma ora sto bene qui e spero di continuare a giocare e vincere per molto tempo ancora».
Hai dedicato lo scudetto a tua mamma perché, hai detto, è stata una delle persone che più hanno lottato per te.
«La mamma è sempre la mamma, ma lo scudetto è pure per mio padre che mi accompagnava agli allenamenti, anche molto lontano da casa. Hanno sostenuto il mio sogno di fare il calciatore, mi sono stati vicini nei momenti di gioia e in quelli di amarezza. Per questo è giusto che oggi io li ripaghi per quel che mi hanno dato».
Come è entrato il calcio nella tua vita?
«Giocavo per strada nel barrio, il quartiere di Madrid, dove vivevo. Lì il calcio piaceva a tutti. Cominciai seriamente proprio nella squadretta del mio quartiere».
Che musica ascolti?
«Inglese, spagnola, anche italiana. Mi piacciono Ghali, Toni Effe, Capoplaza: insomma rap e trap. Poi la Playstation: Fifa o Warzone. Mira, guarda: se vuoi ti insegno”, e mostra il video del gioco».
Con quale squadra giochi a Fifa e tu ci sei dentro?
«Ne ho costruita una mia. Io sono il primo che prendo».
Quando eravate insieme al Real, tu e Theo Hernandez avete mai fatto una gara di velocità?
«Ride di gusto: “No, no. Lui è muy rapido, ma non ci è mai venuto in mente di confrontarci. Qualche volta ci siamo visti, qui a Milano. In campo siamo avversari, fuori amici. Ci conosciamo da tanto».
Theo ha detto che vuole diventare il miglior terzino sinistro al mondo. Tu sei già il migliore di tutti a destra?
«Ah, a me piace che la gente che capisce di calcio apprezzi il mio gioco. Non devo dire io se sono il migliore, neanche mi interessa».