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Eto’o: «Moratti un padre. Vi racconto l’arrivo all’Inter e la finale a Madrid»

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Eto’o, durante lo speciale Moratti su Dazn, ha ripercorso i momenti del suo arrivo in nerazzurro e la finale di Champions League

Samuel Eto’o, intervenuto ai microfoni di DAZN nello speciale dedicato a Massimo Moratti, ha raccontato così il suo rapporto con il presidente e la sua esperienza in nerazzurro.

MORATTI – «Era il mio presidente, ma non ho mai avuto l’impressione che lo fosse. Ho sempre avuto l’impressione che fosse mio papà, mi dava consigli e mi accompagnava in momenti difficili. Ma tutti i suoi giocatori hanno provato questa sensazione».

ARRIVO ALL’INTER – «Mi ricordo il passaggio all’Inter come se fosse ieri. Mi ricordo di aver ricevuto una foto con la maglia numero 9 dal mio amico Jose che mi diceva: questa maglia e questo numero ti aspettano, vieni e vinciamo la Champions insieme. Moratti mi chiamò al telefono parlando un francese per cui ho fatto fatica a pensare fosse davvero lui: non aveva l’accento italiano, per nulla. Arrivai in una grande famiglia, con a capo il presidente più grande che il calcio abbia mai conosciuto e una delle persone più belle che ho conosciuto».

FINALE DI MADRID – «Prima della finale Jose mi passò la parola e mi permise di dire ciò che sapevo. Poi disse. “Qualcuno qui ha l’abitudine di vincerla”. Io da giorni stavo giocando la partita nella mia mente, ero concentrato. Vedendo tutte quelle persone mi sono detto: “Se sono al 200% devo salire al 500. Bisogna tornare a Milano con la coppa. Quando passai la palla a Diego, aveva due opzioni: ma io dissi solo “mio Dio, chiudi la partita”. Il mio cuore e la mia forza erano tutte nel suo piede: gli dicevo “fai la scelta giusta per il nostro popolo. Ho le lacrime perché mi tornano in mente tutte le cose. C’è stato un momento in cui ho salutato i tifosi andando a battere un corner. E dietro la porta c’era un tifoso che piangeva che mi diceva: “Dai Samu, andiamo”. E quest’immagine mi ha sfiorato quando ero sull’aereo e mi immaginavo quanti chilometri aveva fatto per essere lì con tutti i simboli dell’Inter. Mi sono detto: “Questo è il calcio”. Prima di tutti andai a salutare Moratti e lui mi disse: “L’hai fatto”. La mattina dopo arrivai a casa, mi sedetti: mia moglie era di fronte, pensai a tutte le cose che mi erano successe. Lei mi chiese: “Cosa c’è?”. In quei momenti c’è bisogno che qualcuno ti tiri un pizzicotto e ti dica “torna tra noi».

 

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