Lautaro: «Primo anno all'Inter difficile, ringrazio Icardi. Quando Ausilio è venuto a Buenos Aires..» - Inter News 24
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Lautaro: «Primo anno all’Inter difficile, ringrazio Icardi. Quando Ausilio è venuto a Buenos Aires..»

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Lautaro Martinez ha parlato in una lunga intervista concessa a La Nacion: le parole dell’attaccante argentino

Lautaro Martinez ha parlato in una lunga intervista concessa a La Nacion. Le sue parole.

AGUSTINA E NINA – «So che per un mese e mezzo, se le cose andranno bene per la Nazionale, non la vedrò. All’inizio l’argomento mi ha rattristato un po’, è stato difficile per me accettarlo. Ma la mia famiglia sa che rappresenterò il paese, ed è quello che amo fare. Non sono potuto andare a Bahía Blanca da un anno e mezzo. È il posto dove respiro, dove porto energia, dove sto con i miei amici. E ora non potrò nemmeno andarci. Dico ad Agustina, mezzo scherzo e mezzo serio: “Domani andremo a vivere a Bahía Blanca”. È il mio posto nel mondo».

NASCITA FIGLIA – «Quella notte non ho dormito per niente… La bambina è rimasta nell’incubatrice, sono dovuto andare ad allenarmi perché il giorno dopo dovevamo giocare la prima semifinale di Coppa Italia contro la Juventus, in casa. Immagina, è nata mia figlia… Ho finito l’allenamento nel pomeriggio, poi sono semplicemente tornato a casa perché accettavano una sola persona in ospedale e dentro c’era la madre di Agustina. Ho dovuto passare la prima notte lontano da lei. L’avevo abbracciata, ma era sotto ossigeno, è stata una sensazione orribile. Tutta la mia vita è cambiata. Ho cambiato il mio modo di vivere le cose, non solo a casa. Mi ha fatto maturare. Penso a ogni cosa due o tre volte, sono molto più calmo. Anche in campo: prima saltavo le partite perché mi ammonivano facilmente, per aver protestato. Nina mi dà tranquillità. Il profe dell’Inter mi ha detto che ha capito che sono diverso, molto più coinvolto nel gruppo, più leader. Sento di essere maturato molto».

ARRIVO ALL’INTER – «Quando è arrivata l’Inter, il direttore sportivo è venuto a trovarmi a Buenos Aires. In quei colloqui, gli ho chiesto se la maglia numero 10 fosse libera. Ha detto ‘bene, bene, vediamo’. Quando sono andato a Milano per firmare il contratto, me lo hanno chiesto di nuovo e io ho insistito che volevo la 10. Mi hanno detto: ‘Guarda, il 10 è stato sulle spalle di Ronaldo, Baggio, Sjneider, questo e quell’altro…’ . Ho detto loro che sì, ero consapevole, ma che mi piaceva la sfida: “La amo”. Ho firmato e fatto la foto con il 10».

PRIMO ANNO ALL’INTER – «Mi è costato, mi ha scioccato. Sono passato dal Racing, dove segnavo gol e la gente cantava il mio nome, ero sempre titolare, in un nuovo paese, un nuovo club, una nuova lingua… sapevo che mi sarei dovuto adattare, ma non che sarebbe stato così difficile. Dopo tre mesi e avevo già detto che volevo andarmene, non voleva saperne di più. Nessuno avrebbe potuto sopportarmi. A volte prendevo la macchina e andavo in giro da solo. Era pazzo, non pensavo a nulla. Poi c’è stato un cambiamento Mauro (Icardi ndr) mi ha dato una mano gigantesca in quel momento, lo ringrazio sempre. Sono molto felice che il primo anno mi sia servito come apprendimento. Già nel secondo anno ho giocato di più, le cose sono cambiate. E in questo, molto di più: sono tornato in Argentina completamente soddisfatto e felice. Ho giocato 38 partite su 38 in Serie A, 6 su 6 in Champions e 4 su 4 in Coppa Italia. E abbiamo vinto il campionato. È il mio primo titolo da professionista, ed è arrivato tre mesi dopo la nascita di Nina. Ha un altro sapore questa vittoria».

ITALIANO NELLO SPOGLIATOIO – «Sì, ogni tanto parlo. Mi piace. Quando lo sento, parlo. L’ho fatto prima di una partita contro il Milan, che abbiamo vinto 3-0. Ho fatto un discorso davanti al gruppo, cose che mi sono venute in quel momento. A volte torno a casa e parlo con Agustina in italiano, abituato a farlo tutto il giorno col club. Lei ride. Oppure faccio una videochiamata con mia mamma e metto una parola in italiano. ‘Cosa hai detto?’, mi dice».

LUKAKU – «All’Inter ho conosciuto il mondo: ho compagni inglesi, croati, sloveni, slovacchi, cileni, uruguaiani… E un belga (Lukaku) che parla sei o sette lingue, ha una conoscenza tremenda. Abbiamo storie simili da ragazzi, abbiamo creato un rapporto importante e che si trasferisce anche in campo. Ma non farlo arrabbiare, hai visto il fisico che ha?»

 

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